L'autobus sta per ripartire, ma riapre le porte per far salire una mamma e una bambina, che arrivano trafelate. La mamma ha sulle spalle la sua borsa del lavoro e lo zaino della bambina. Mi colpiscono le loro espressioni del viso: seria e immobile, la mamma; preoccupata e ansiosa, la bambina (avrà più o meno 8/9 anni..).
Non scambiano una parola per tutto il viaggio. La bambina non stacca lo sguardo dal volto della mamma, con un'espressione quasi interrogativa, la mamma non le rivolge mai lo sguardo. Guarda fuori, lo sguardo fisso.
Non so cosa possa essere accaduto prima, magari una discussione, oppure una brutta notizia, o ancora una estrema stanchezza. Non posso sapere. E neppure mi riguarda.
Ma mi ritrovo a pensare alla presenza, alla qualità della nostra presenza, nelle relazioni con gli altri.
Quanto è importante sentire la presenza dell'altro? Sentire che abbiamo un posto riservato nella mente dell'altro e che in noi c'è posto per l'altro?
Quanto è disorientante quando l'altro sparisce, nella relazione, guarda altrove, è disattento, magari rapito dal proprio mondo interno? Come si fa sentire l'assenza? Quali emozioni e dove le sentiamo?
Percepire la propria assenza nella mente dell'altro è un'esperienza di rottura dell'intersoggettività.
Sentire la presenza, lo spazio nella mente dell'altro, stabilisce una connessione che rassicura: "sentirsi parte di" è uno dei bisogni di base per noi, esseri relazionali.
🌱 Questo ho pensato, osservando la mamma e la bambina sull'autobus, e condivido questa riflessione con chi sosterà nella lettura: come si manifesta in noi l'esperienza dell'assenza? Quali azioni ci viene da compiere? Quanto siamo consapevoli della nostra presenza o assenza per gli altri? Vorremmo cambiare qualcosa rispetto alla nostra capacità di essere presenti?
Se la lettura di questo post risuona con il vostro sentire, mi farà piacere condividerne l'esperienza.
Laura Fino